Da due anni sono l’osteopata della squadra maschile di sci alpino discipline veloci.
E’ un lavoro complesso che prevede una grande cooperazione tra tecnici e staff medico al fine di ottimizzare il lavoro e quindi la resa dell’atleta.
Come in tutti gli sport agonistici, anche lo sciatore , al fine di migliorare al massimo la sua performance, spinge il proprio corpo sempre al limite.
Questa continua ricerca dell’atleta nel riuscire a superare i propri limiti, unita all’alto rischio insito di questo sport, mette continuamente a repentaglio la salute del fisico e la sua longevità.
In questo contesto è quindi necessario un continuo confronto tra tecnici, medici, preparatori, fisioterapisti e osteopati.
Nel mio lavoro di osteopata trovo che il confronto con il preparatore atletico sia quello più continuo e rilevante.
Gli esercizi che vengono svolti come preparazione atletica devono ricoprire un ruolo fondamentale sia nel miglioramento della prestazione che nella prevenzione da infortuni.
Prendiamo l’esempio di un atleta di livello mondiale che da anni si trova a lottare con una lombalgia cronica.
La rmn del rachide lombare dell’atleta mostra una grave discopatia di L5-S1 e una tendenza alla rettilineizzazione del tratto lombare.
Il dolore tende a manifestarsi nella zona della sacro iliaca di sinistra.
I test osteopatici mostrano un deficit di mobilità dell’articolazione coxofemorale e della tibio tarsica a sx, una forte retrazione del flessore dell’anca (bilateralmente ma maggiore a sx) e una rigidità del tratto dorsale infrascapolare.
In questo contesto, oltre alla manipolazione osteopatica avente l’obiettivo di migliorare i suddetti deficit, è fondamentale una cooperazione da parte del preparatore atletico affinchè egli esegua con l’atleta il miglior lavoro atletico possibile; per miglior lavoro possibile intendiamo quello che preveda esercizi di potenziamento che siano il più efficaci possibili senza essere lesivi per la sua situazione uniti ad esercizi di prevenzione.
Per esempio si è preferito utilizzare affondi monopodalici utilizzando il trx anzichè squat con bilanciere sulle spalle e/o leg press.
Altri esercizi efficaci e non lesivi sono squat isometrici in equilibrio sul fitball stando in posizione (volgarmente posizione a uovo), squat monopodalici su cuscino propriocettivo (tutti esercizi che prevedano comunque una componente propriocettiva) combinati anche a sforzi con arti superiori eseguiti con elastici (per attivazione della muscolatura lombare e paravertebrale).
In un discorso preventivo non possono ovviamente mancare esercizi di core-stability, uniti ad esercizi di mobilizzazione del tratto dorsale (con fitball) e streching specifico di ileo-psoas, retto femorale, adduttori e piriforme.
In linea generale ho riscontrato che nello sci alpino le articolazioni maggiormente sollecitate che di conseguenza tendono a perdere la loro ottimale funzionalità sono le tibio-tarsiche, il rachide lombare e la zona cervicale alta (è altissima la percentuale di atlanti bloccati probabilmente dovuta alla posizione estesa del collo che si assume nelle posizioni di velocità).
E’ inoltre molto alto il rischio di infortuni alle ginocchia legato più che altro a cadute (c’è sempre il rischio che lo sci faccia leva e porti il ginocchio in torsione).
In questo contesto è quindi importante che la manipolazione osteopatica sia sempre seguita da esercizi che ne aumentino l’effetto e l’efficacia.
Sarà quindi importante che l’osteopata segnali sempre al preparatore se ci sono retrazioni muscolari importanti su cui lavorare con esercizi di stretching specifico, eventuali deficit di forza di muscoli su cui andare a lavorare ed infine deficit di mobilità di qualche articolazione su cui fare esercizi specifici.
Ovviamenete non dobbiamo dimenticarci anche della comunicazione con il resto dello staff; un frequente confronto con i medici e con i tecnici sulla situazione degli atleti è fondamentale nella programmazione degli allenamenti in pista, sul tipo di specialità da allenare (nel caso dell’atleta precedentemente citato lo slalom speciale risulta essere dannoso per il rachide lombare) e sul carico di lavoro da fargli eseguire (numero di giri in pista) o nel caso se è necessario uno scarico o del riposo.